Fegato ingegnerizzato cresce dopo trapianto
Fegato ingegnerizzato cresce dopo trapianto

Studio Usa sui topi, piccoli 'semi' di tessuto impiantabili si espandono di 50 volte 

Viene ingegnerizzato in laboratorio e cresce, così come succede al suo modello 'naturale', il fegato. Un team di scienziati Usa ha scoperto che il tessuto epatico da loro costruito è in grado di espandersi dopo il trapianto. Come se fosse un 'seme' dal quale cresce l'organo. Gli esperti lo hanno verificato sui topi protagonisti del loro studio pubblicato su 'Science Translational Medicine'.

Molte malattie, tra cui cirrosi ed epatite, possono portare a insufficienza epatica. E diversi pazienti finiscono per entrare nelle liste d'attesa per il trapianto, scontrandosi con l'annoso problema della scarsità di organi disponibili. In questo scenario si è sviluppato il lavoro del team Usa, composto da ricercatori di Massachussetts Institute of Technology (Mit), Rockfeller University e Boston University. Il gruppo sta studiando un nuovo modo di progettare il tessuto epatico: vengono organizzate piccole sottounità che contengono tre tipi di cellule, integrate in un'impalcatura biodegradabile. Nella ricerca sui topi con fegato danneggiato a causa di un disturbo genetico chiamato tirosinemia, gli esperti hanno potuto osservare che le piccole strutture, dopo essere state impiantate nell'addome, si sono espanse fino a 50 volte e sono state in grado di eseguire le funzioni normali dell'organo.

"Il nostro obiettivo - spiega Sangeeta Bhatia del Mit, autore senior dello studio - è far sì che un giorno si possa utilizzare questa tecnologia per aumentare il numero di trapianti". I fegati ingegnerizzati potrebbero anche essere un opzione per chi soffre di malattie epatiche croniche ma non diventa candidato per un trapianto di fegato, afferma Bhatia. "Questi pazienti convivono con le loro malattie per tutta la vita e si potrebbe immaginare di aumentarne la funzione epatica con un piccolo fegato ingegnerizzato". Kelly Stevens, ex postdoc del Koch Institute del Mit, è autrice principale dello studio sul nuovo fegato impiantabile, che si basa sul lavoro precedente del laboratorio di Bathia.

Lo scienziato aveva sviluppato nel 2011 un'impalcatura di tessuto ingegnerizzato, di dimensione e forma simili a quelle di una lente a contatto, a misura di addome di topo. Una volta impiantata, le cellule epatiche si devono integrare con il sistema circolatorio del topo, in modo da essere alimentate con il sangue e da svolgere le funzioni epatiche. Il problema era che questi impianti contenevano meno di 1 milione di epatociti (le cellule che eseguono la maggior parte delle funzioni critiche del fegato). Un fegato umano sano ne ha invece circa 100 miliardi e Bhatia ritiene che almeno dal 10 al 30% di questo numero sarebbe necessario per aiutare la maggior parte dei pazienti.

Quindi la missione degli scienziati era aumentare la loro popolazione di epatociti. Hanno deciso così di sfruttare un tratto chiave delle cellule epatiche, cioè il fatto che possono moltiplicarsi per generare nuovo tessuto. "Il fegato è un organo che può rigenerarsi e sono le cellule mature che si dividono senza l'intermediazione di una staminale. È straordinario", riflette Bhatia. Lavorando con Christopher Chen, professore di ingegneria biomedica all'università di Boston, il team ha progettato strutture microfabbricate che incorporano 'organoidi' (versione mini e semplificata di un organo) sferici fatti di epatociti e fibroblasti, nonché cordoni di cellule endoteliali che costituiscono i mattoncini dei vasi sanguigni. Questi due tipi di strutture sono organizzati in modelli e incorporati nella fibrina, una proteina normalmente coinvolta nella coagulazione del sangue.

Quando queste strutture vengono impiantate nel topo, ricevono segnali rigenerativi dall'ambiente circostante (fattori di crescita, enzimi e molecole naturalmente prodotti quando si verifica un danno epatico) che stimolano le cellule endoteliali a formare vasi sanguigni e rilasciare fattori che a loro volta stimolano la proliferazione degli epatociti, con conseguente espansione del tessuto originale di 50 volte. E' come se si 'piantasse' un seme di organo, appunto. "E quello che è veramente entusiasmante - riflette Bathia - è che l'architettura del tessuto emerso somiglia molto a quella del fegato nell'organismo". Prossimo passo: perfezionare il meccanismo che si è compreso di poter innescare.

 


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