Lo studio, Italia tra primi al mondo verso eliminazione virus epatite C
Lo studio, Italia tra primi al mondo verso eliminazione virus epatite C

Entro il 2022 previsto un -65% dei morti per infezione, ma servono screening mirati per scoprire il sommerso 

La disponibilità di terapie efficaci e ben tollerate ha rivoluzionato l'approccio della cura dell'infezione da virus dell'epatite C (Hcv). E l'Italia, secondo il Center for Disease Analysis (Usa), si colloca tra i 12 Paesi che si sono incamminati positivamente verso il traguardo dell'eliminazione di questa malattia. A patto di 'scovare' coloro che non sanno di aver contratto l'infezione e mantenere quindi alto il numero dei trattamenti. "Il nostro Paese è un modello nella lotta al virus dell'epatite C - dichiara Walter Ricciardi, presidente dell'Istituto superiore di sanità (Iss) - e le stime ci dicono che raggiungerà il primo obiettivo fissato dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) della riduzione del 65% delle morti Hcv-correlate nel 2022". Ben 8 anni prima del 2030, 'target' dell'Oms.

A mostrare la buona strada intrapresa dal nostro Paese è uno studio pubblicato su 'Liver International'. I ricercatori dell'Iss, capofila di Piter (Piattaforma italiana per lo studio delle terapie dell'epatite virale, coordinata da Iss, Associazione italiana per lo studio del fegato e Società italiana di malattie infettive e tropicali), in collaborazione con l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e con il Center for Disease Analysis (Cda, Colorado, Usa), hanno disegnato differenti scenari per valutare le strategie più efficaci per raggiungere l'obiettivo dell'eliminazione dell'Hcv.

Gli studiosi guidati da Loreta Kondili, responsabile scientifico di Piter al Centro per la salute globale dell'Iss diretto da Stefano Vella, hanno concluso che, per eradicare totalmente il virus, è fondamentale mantenere alto il numero delle persone in terapia e, per fare questo, è necessario uno screening mirato su particolari gruppi della popolazione generale con maggiore probabilità di avere un'alta prevalenza, scovando così il 'sommerso', ovvero tutti coloro che non sanno di aver contratto l'infezione.

"Possiamo dire con orgoglio - prosegue Ricciardi - che questo traguardo verrà raggiunto grazie a un approccio universalistico e solidale unico al mondo, considerando oltretutto il significativo numero dei casi. E sempre grazie alle nostre politiche sanitarie, siamo sulla buona strada per raggiungere il traguardo più importante che consiste nell'eliminazione del virus entro il 2030".

"I risultati ottenuti dalla piattaforma Piter - afferma Mario Melazzini, direttore generale dell'Aifa - supportano da un punto di vista scientifico la politica già messa in atto dall'Aifa nel 2017: trattare tutti i pazienti con infezione cronica da Hcv (indipendentemente dal danno epatico) produrrà importanti guadagni, in termini di salute delle persone con questa infezione, ma anche in termini di riduzione dei costi diretti e indiretti attesi da parte del Servizio sanitario nazionale. Questo studio è di supporto nel realizzare l'ulteriore obiettivo che ci siamo posti, quello di mantenere un più alto numero di trattamenti annuali anti-Hcv, tra l'altro richiesto dal Piano nazionale epatiti, al fine di raggiungere l'eliminazione dell'Hcv in Italia".

Piter è una coorte di 9.145 pazienti arruolati in 90 ospedali pubblici e centri medici universitari distribuiti in tutta Italia. La coorte è considerata un campione rappresentativo di pazienti che non hanno restrizioni di accesso al trattamento e che godono dei criteri di rimborso del sistema sanitario. Piter mira a valutare l'impatto previsto dei nuovi farmaci anti- Hcv sulla storia naturale dell'infezione e su morbilità e mortalità a lungo termine. Per entrare nella coorte bisogna essere un paziente con infezione da Hcv (qualsiasi stadio, qualsiasi genotipo, inclusi Hbv, Hdv, o Co-infezione da Hiv), di almeno 18 anni e afferente agli ambulatori degli oltre 100 centri clinici partecipanti.

"Avvalendosi dei dati della piattaforma Piter e dei dati di trattamento con i farmaci di Azione diretta antivirale (Daa) forniti dall'Aifa - spiega Kondili - abbiamo provato a delineare strategie per aumentare le diagnosi e il cosiddetto 'linkage to care' (i pazienti identificati e seguiti nei centri di cura). Questo perché, seguendo l'andamento attuale dei trattamenti, è facile prevedere che, nella migliore delle ipotesi, il pool di pazienti italiani si esaurirà tra il 2025-2028, lasciando però un cospicuo 'sommerso'. I pazienti diagnosticati con Hcv rappresentano infatti solo la parte visibile dell'iceberg dei pazienti infetti. Un numero non ben definito di persone che ha contratto l'infezione non sviluppa sintomi evidenti e dunque è difficile che venga identificata e trattata".

I ricercatori hanno perciò concluso che è necessario, per mantenere alto il numero delle persone in terapia eradicante del virus, uno screening mirato su particolari gruppi della popolazione generale con maggiore probabilità di avere un'alta prevalenza. Gruppi che vanno ad aggiungersi alle categorie ad alto rischio come i tossicodipendenti e i detenuti, che rimangono comunque popolazioni target di screening e di linkage to care, per raggiungere l'obiettivo di eliminare l'infezione da Hcv e il suo impatto sulla salute di tutti.

"Si può affermare - conclude la ricercatrice - che se il numero dei trattamenti diminuisce sotto i 35.000 l'anno prima del 2025, è necessario uno screening nelle coorti di nascita dal 1948 al 1978 per aumentare il numero dei pazienti diagnosticati e indirizzarli verso il percorso di cura. Se invece il numero dei pazienti trattati si mantiene alto (non inferiore a 35.000 l'anno) oltre il 2028, potrebbe essere necessario uno screening mirato nelle coorti di nascita dal 1958 al 1978 al fine di raggiungere i target dell'eliminazione".

 


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