Studio Usa, meno morti da infarto quando esperti top sono ai meeting
Studio Usa, meno morti da infarto quando esperti top sono ai meeting

In assenza super specialisti tassi sopravvivenza più alti, forse per approccio più olistico adottato da colleghi rimasti 

Cosa succede ai pazienti con attacco di cuore quando i super esperti di cardiologia sono assenti dall'ospedale per partecipare ai più importanti meeting accademici o conferenze del settore? A dispetto di quanto si potrebbe pensare, uno studio Usa mostra che hanno probabilità più alte di sopravvivere. E' il trend osservato da un team di ricercatori della Harvard Medical School. Guardando i dati, gli esperti hanno scoperto che quando questi specialisti sono via, il tasso di sopravvivenza nei loro ospedali migliora.

L'ipotesi è che i camici più esperti siano più inclini a utilizzare interventi intensivi - che possono in alcuni casi avere il risultato opposto, cioè fare più male che bene - mentre in loro assenza si adotti un approccio più olistico che, sempre in alcuni casi specifici, si rivela più giusto. La ricerca, pubblicata sul 'Journal of the American Heart Association', indica in particolare che le persone colpite da infarto e trattate durante i periodi in cui i cardiologi interventisti sono assenti per conferenze hanno più probabilità di sopravvivere nel mese successivo rispetto ai pazienti che ricevono un trattamento durante i giorni che precedono o seguono i meeting. Il beneficio complessivo nella sopravvivenza si è rivelato abbastanza consistente da attirare l'attenzione del ricercatore-medico Anupam Jena, autore principale dello studio.

"Molti interventi medici non portano vantaggi sulla mortalità, e il fatto che questa cali per i pazienti con infarto nelle date delle conferenze solleva domande su come la cura possa differire durante tali periodi", osserva Jena che oltre a insegnare nell'Harvard Medical School è anche medico al Massachusetts General Hospital di Boston. L'esperto aveva cominciato a indagare sul tema già nel 2015 e si aspettava di non trovare alcuna differenza, laddove gli ospedali avevano medici qualificati per coprire i cardiologi più esperti assenti. Al massimo un leggero aumento della mortalità se le sfide in corsia causavano una diminuzione della qualità e quantità delle cure.

Invece la sorpresa in quel primo studio è stata che i pazienti andavano meglio, e non peggio, per condizioni cardiovascolari acute come l'arresto cardiaco e l'insufficienza cardiaca, in corrispondenza delle date dei meeting dell'American Heart Association e dell'American College of Cardiology, rispetto ai giorni prima e dopo. I risultati hanno portato il team a ipotizzare che alcuni pazienti beneficiassero forse di un trattamento meno intenso. Per superare eventuali limiti della ricerca, nell'ultimo studio Jena ha focalizzato l'indagine sui cardiologi interventisti, alla ricerca di cambiamenti nella mortalità dei pazienti nelle date del più grande evento della categoria, il 'Transcatheter Cardiovascular Therapeutics'.

La nuova analisi ha rivelato uno schema simile: un deciso beneficio di sopravvivenza per chi veniva trattato nelle date del meeting. Complessivamente, il 15,3% dei pazienti finiti in ospedale con un infarto nei giorni dell'incontro è morto entro 30 giorni dall'ammissione, rispetto al 16,7% dei pazienti gestiti in altri giorni. I migliori risultati di sopravvivenza sono stati guidati principalmente da un gruppo di pazienti con un tipo specifico di attacco cardiaco che non richiede l'uso immediato di stent. In questi, che non sono stati sottoposti alla procedura, la differenza di mortalità a 30 giorni era più consistente (16,9% fra gli ospedalizzati durante il meeting, contro il 19,5%). Le differenze, concludono gli autori dello studio, possono derivare da diverse abilità 'non procedurali' messe in campo dai medici che restano in ospedale.

"Se gli operatori si concentrano su un particolare tipo di procedura, potrebbero non sviluppare altre competenze cliniche altrettanto importanti", riflette Jena. "Il trattamento di un paziente cardiaco non riguarda solo i problemi del cuore in sé, ma altri fattori che quest'ultimo 'porta' in ospedale". I ricercatori non hanno rilevato differenze di età o sesso tra i medici che hanno o non hanno frequentato incontri di cardiologia interventistica. Tuttavia, hanno osservato che quelli presenti ai meeting hanno eseguito più stent e sono più concentrati sulla pubblicazione di ricerche. Con lo studio, precisa Jena, "quello che vogliamo davvero arrivare a sapere è come salvare più vite".

 


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