Coronavirus, a Bergamo studio su ricercatori e azienda, 38,5% ha anticorpi
Coronavirus, a Bergamo studio su ricercatori e azienda, 38,5% ha anticorpi

Studio dell'Istituto Mario Negri di Bergamo sulla circolazione del virus nel capoluogo orobico e nella sua provincia 

Quasi il 40% di positività al test sierologico per gli anticorpi anti Sars-CoV-2. E' il risultato di uno studio dell'Istituto Mario Negri di Bergamo sulla circolazione del virus nel capoluogo orobico e nella sua provincia. La ricerca che sarà pubblicata su 'EBioMedicine', uno dei giornali del gruppo di 'Lancet', è stato avviata nel mese di maggio e ha coinvolto 423 volontari: 133 sono proprio i ricercatori del Mario Negri e 290 persone sono addetti dell'azienda Brembo. Ogni volontario è stato sottoposto a tampone nasofaringeo e a due diverse tipologie di test sierologico, per poterne valutare, tra le altre cose, performance e attendibilità. Risultato: "Il 38,5% del campione è risultato positivo al test sierologico ed ha sviluppato gli anticorpi contro il Sars-CoV-2", spiegano gli autori del lavoro.

La maggior parte dei soggetti positivi agli anticorpi contro il coronavirus ha manifestato sintomi nelle prime due settimane di marzo, ma un sottogruppo ha riportato sintomi riconducibili al virus già a inizio febbraio 2020. Non vi sono differenze significative nella positività tra maschi e femmine, mentre i volontari positivi sono in media più anziani di qualche anno rispetto ai volontari negativi al test.

Del 38,5% di soggetti positivi al test sierologico, solo 23 volontari sono risultati positivi anche al tampone nasofaringeo, che misura la presenza di materiale genetico di SARS-CoV-2 nel naso e nella gola. Si tratta di soggetti che hanno avuto sintomi nelle settimane precedenti al prelievo. "L'analisi evidenzia che si tratta di casi con una bassissima carica virale che fa pensare a una capacità infettiva probabilmente nulla. I dati da rapportare alla situazione di maggio - afferma Susanna Tomasoni, capo del Laboratorio di terapia genica e Riprogrammazione cellulare - suggeriscono che qualificare l'entità della carica virale, piuttosto che riportare solo una positività di per sé, è importante per ottimizzare i criteri di dimissione dei soggetti infetti".

"Questo studio - sottolinea Ariela Benigni, segretario scientifico e coordinatore delle ricerche - ha importanti risvolti per le politiche di contenimento che dovrà mettere in atto il nostro Servizio sanitario nazionale nell'eventualità di una seconda ondata di infezione virale. E ci mostra che sarebbe opportuno che per ogni tampone positivo venisse quantificata anche la carica virale, in modo da non avere un quadro epidemiologico fuorviante".

 


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