Sanità privata, 13 big da 5,3 mld, non solo estero e Borsa per crescere
Sanità privata, 13 big da 5,3 mld, non solo estero e Borsa per crescere

Pelissero, settore a tradizione familiare ostacolato da quadro normativo 

C'è chi guarda all'estero, come Korian, Giomi, Kos e Gvm, e chi per crescere sceglie di quotarsi in Borsa, come le Cliniche Garofalo di Roma. C'è fermento nel settore della sanità privata italiana, ma anche margini di sviluppo, complice un mercato frammentato, a forte controllo familiare. Le storiche 'sette sorelle' del privato sono ormai 13, se si considerano i gruppi sanitari e socio-sanitari (anche no-profit) con ricavi superiori ai 150 mln di euro, e tutti insieme vantano un fatturato da oltre 5,3 mld di euro pari al 12,6% del totale, come emerge da un'analisi del Cergas-Sda Bocconi (School of Management) (dati 2014). Un'indagine che segnala anche la tendenza alla cessione di ospedali di medio-piccole dimensioni da parte di Fondazioni no profit e ordini religiosi a imprenditori privati.

Quanto ai 13 'big', il primo operatore è il Gruppo San Donato (Papiniano Holding), che oggi con un fatturato da 1,5 mld rappresenta però solo il 3,3% di un settore costituito per lo più da piccoli gruppi. Della rosa dei grandi fanno parte 'Policlinico Gemelli e Cic', Humanitas, Gruppo Villa Maria (Gvm), Kos, Korian, Fondazione Maugeri, Fondazione Don Gnocchi, Ieo, Servisan, Multimedica, Giomi-Fingemi ed Eurosanità. Rappresentanti di "un settore che in questi anni - spiega all'AdnKronos Salute Gabriele Pelissero, presidente del Cluster Lombardo Scienze della vita e past president Aiop (Associazione nazionale ospedalità privata) - pur di fronte a un quadro normativo che ostacola la crescita del privato sul territorio, in effetti un po' è cresciuto, anche in seguito alle difficoltà del pubblico, legate alla spending review. Basti pensare in 10 anni la riduzione della spesa pubblica è andata avanti con un ritmo del -0,1% l'anno".

Secondo Pelissero "margini di crescita per il settore sarebbero possibili attraverso il rilancio delle strutture pubbliche disfunzionali, in deficit da anni, grazie alla possibilità di 'affidamento' al privato. Oggi scontiamo una mancanza di riflessione nazionale sui vantaggi di un sistema misto, come quello di Regione Lombardia, in cui pubblico e privato sono in competizione sì, ma in termini di qualità". L'idea di Pelissero è quella di affidare, come accade in Germania, "i grandi ospedali disfunzionali a imprenditori privati in grado di rilanciarli. Fra i vantaggi, quello di richiamare capitali senza ricorrere ai cittadini con la leva fiscale, ma anche di puntare i fari sulla qualità dei servizi".

Ma come è la realtà del settore in Italia? Secondo il report Cergas-Sda Bocconi gli ospedali privati accreditati, che nel 2014 erano 579 in tutto il Paese, avevano una dimensione media di 117 posti letto; gli istituti di riabilitazione privati accreditati erano 778, con una dimensione media di appena 33 letti; mentre le strutture residenziali sociosanitarie private erano 5.008, di cui il 24% in Lombardia, dove la dimensione media era di 91 letti. Quanto alla geografia, il settore presenta caratteristiche (e gradi di concentrazione) molto differenti nelle diverse aree del Paese.

Se, considerando il solo settore dell'ospedalità privata, i grandi gruppi (oltre 500 posti letto accreditati) rappresentano il 12% dei letti Ssn a livello nazionale, in Lombardia arrivano al 21%. Anche dal punto di vista delle dimensioni gli ospedali privati accreditati profit hanno, in Lombardia, una dimensione media di 170 posti letti contro i 98 a livello nazionale. Se si considerano invece gli ospedali no profit, sono le regioni del Centro-Sud a evidenziare dimensioni maggiori. "Questo in generale in Italia è un settore dal forte connotato familiare: l'origine di moltissime di queste aziende - dice Pelissero - si deve alla figura di un fondatore, di solito un medico affermato, che sente la necessità di disporre di un luogo di ricovero per i suoi pazienti, più o meno piccolo". Negli anni le generazioni si susseguono e la realtà evolve. "L'imprenditorialità e le capacità manageriali - evidenzia - diventano sempre più importanti, di pari passo con la qualità delle cure". Così molte strutture religiose che faticano a far quadrare i conti passano di mano.

Anche perché c'è il fattore regionalizzazione. "Un fattore che limita lo sviluppo dei gruppi ospedalieri e può scoraggiare investitori esteri -sottolineano gli autori del report Cergas-Sda Bocconi - è proprio l'eterogeneità normativa data dalla regionalizzazione della nostra sanità. È comunque in media molto difficile fare fronte alla complessità amministrativa e all'instabilità della regolamentazione, delle politiche sanitarie e della committenza".

Ma "le opportunità di crescita ci sono - insiste Pelissero - E se c'è chi guarda all'estero, perché la sanità italiana ha tutti i numeri per andare bene nel mondo, avendo bravi medici e ottimi gestori di ospedali, c'è anche chi punta a crescere esportando cure". Scommettendo dunque sull'attrattività di numerose strutture italiane, che ormai attirano pazienti da tutta Europa, e anche da Paesi extra-europei. Insomma, c'è chi si clona "disseminando le proprie eccellenze all'estero", e chi punta a crescere e creare posti di lavoro attirando in Italia pazienti stranieri in cerca di cure di qualità. "Ecco perché il regime dell'Iva per chi viene in Italia per curarsi deve essere quello delle esportazioni dei beni, perché di fatto così esportiamo cure. In questo il governo ci deve aiutare", conclude.

 


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